Lucien Vieville - I Segreti Dei Templari, BIBLIOTEKA, E-books (ITA)

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Lucien Vieville
I Segreti Dei Templari.
Introduzione DI BERNARD MICHAL.
Un favoloso tesoro scomparso, un ordine religioso violentemente accusato di
eresia e di speculazione finanziaria: questo il quadro in cui, il 13 ottobre
1307, il re di Francia, Filippo il Bello, lancia contro l'Ordine dei Templari
un'operazione poliziesca senza precedenti nella storia. Come si spiega questa
brutale decisione di distruggere gli antichi e valorosi eroi delle Crociate?
Quali sono le esatte motivazioni del re e dei suoi abili consiglieri? Di
essere diventati uno Stato nello Stato? Di essere più ricchi dello stesso
sovrano? Di essere in grado di prestare denaro alla corona, grazie ai tesori
da essi instancabilmente accumulati? Oppure di essere degli eretici da mandare
al rogo? In questo senso andranno le accuse di depravazione e di sacrilegio
sostenute contro i membri dell'Ordine, alcuni dei quali ne faranno aperta
confessione. Molto discutibile tuttavia è il valore di queste confessioni,
strappate con la tortura. Ma chi erano in realtà i poveri cavalieri del
Cristo, che dalle umili origini in Terra Santa, all'epoca della Prima
Crociata, conobbero poi la gloria e la fortuna prima di perire sul rogo? La
storia dell'Ordine dei Templari si svolge nel mezzo di due secoli,
caratterizzati da continue battaglie.
Dall'esecuzione del suo ultimo grande maestro, de Mola, l'Ordine ha continuato
a esistere clandestinamente? Che ne è stato del tesoro dei Templari? E' mai
esistito realmente questo tesoro?
I SEGRETI DEI TEMPLARI.
Verso la metà del nostro secolo, le strane rivelazioni di un vecchio ostinato
giardiniere, più appassionato agli antichi monumenti che alle piante e forse
non insensibile al fascino dell'oro e delle ricchezze, fa improvvisamente
tornare alla ribalta della cronaca l'Ordine dei Templari, scomparso sei secoli
e mezzo prima in un clima di violenza. Allora anche il grosso pubblico prende
interesse alla straordinaria storia dei monaci - soldati, uscita dall'oblio del
tempo, dai libri magici e dalla leggenda; allora viene riscoperto
l'incredibile contrasto tra il voto di povertà e le immense ricchezze
accumulate da un Ordine diventato ai suoi tempi uno dei più grandi proprietari
fondiari del mondo e il cui patrimonio era tale da permettergli di prestare
denaro ai maggiori Stati e di controllare lo stesso tesoro della Corona di
Francia. Allora torna alla luce il violento destino che ha portato alla
distruzione dell'Ordine e alla dispersione dei suoi membri, perseguitati,
condannati, uccisi o imprigionati.
Quando Roger Lhomoy, il giardiniere, afferma che scavando nei sotterranei
della rocca di Gisors ha scoperto una cappella sotterranea, una specie di
cripta segreta, contenente diciannove sarcofagi di pietra e trenta enormi
scrigni di: metallo prezioso, forse non sa di riproporre un enigma che, nel
corso degli anni, ha più volte attirato l'attenzione degli studiosi, e che li
ha lasciati sempre delusi o addirittura scettici.
Nei trenta scrigni è forse rinchiuso il tesoro dei Templari, quel tesoro che
ha acceso tante fantasie e tante cupidigie e che sarebbe stato portato via
dalla loro torre di Parigi proprio alla vigilia del colpo di mano deciso da
Filippo il Bello contro i membri dell'Ordine? In generale gli storici non lo
credono. Essi sono infatti convinti che i Templari, per i quali gli
avvenimenti del 13 ottobre 1307 dovettero essere come un fulmine a ciel
sereno, non pensarono mai a nascondere il loro tesoro, ammesso che ne avessero
uno, per sottrarlo agli uomini del re.
Tuttavia l'enigma rimane. Si potrebbe infatti pensare che, dopo la scoperta di
Roger Lhomoy sarebbe stato facile risolverlo, portando alla luce, grazie alle
sue indicazioni, i famosi scrigni. Ma non è così. Quando Roger Lhomoy ebbe
fatto le sue rivelazioni, accadde un fatto così sorprendente che ancora non si
è riusciti a spiegarne le ragioni. I proprietari della vecchia rocca infatti,
gli proibirono di continuare gli scavi, lo licenziarono dal suo incarico di
giardiniere - custode e fecero chiudere le gallerie ed i pozzi che egli aveva
scavato, dopo il fallito tentativo di raggiungere la cripta effettuato da due
uomini che dichiararono di non averla potuta raggiungere a causa
dell'imminente pericolo di crolli. Eppure Roger Lhomoy, a suo dire, aveva
corso questo pericolo ogni notte, per parecchi anni, senza che gli succedesse
niente.
Qualcosa gli successe invece dopo, e potrebbe essere una prova indiretta delle
sue spedizioni notturne: dopo la sua sconfitta la moglie lo abbandonò. Finché
c'era stata la prospettiva di trovare un tesoro la signora Lhomoy aveva
sopportato di essere così trascurata, ma persa anche questa speranza non aveva
trovato altra soluzione che andarsene coi propri figli, abbandonando il marito
e i suoi fantastici ma inutili progetti.
La decisione, presa così precipitosamente, rimase dunque quella di non
proseguire le ricerche e di non verificare le affermazioni di Roger Lhomoy.
Perché? Ne riparleremo. Gisors intanto conserva il suo segreto, che forse
sarebbe stato facile da svelare e che forse avrebbe anche procurato notevoli
utili. Anche ammesso infatti che gli scrigni, dando per scontata la loro
esistenza, non contenessero l'oro del Tempio, avrebbero potuto tuttavia
racchiudere altre ricchezze, non fosse altro che le testimonianze o i documenti
utili a fare luce su qualche aspetto di quell'oscura età che fu il Medio Evo.
Ma il tesoro non è il solo mistero nell'Ordine del Tempio. Tutto, a partire
dalla sua nascita fino al suo apogeo, e poi dall'apogeo fino alla caduta, pone
strani e inquietanti problemi. Singolari tendenze politiche e deviazioni di
tipo eretico, come gli interessi materiali, non possono che destare meraviglia
in un'istituzione creata per scopi umanitari e per diffondere la fede
cristiana.
Ancora controverse sono le ragioni che spinsero Filippo IV a chiedere, e a
ottenere, da papa Clemente V l'abolizione dell'Ordine, il suo annientamento.
Il Costante bisogno di denaro non sembra sia stato il motivo fondamentale,
anche se il re e il suo successore, si affrettarono a sottrarre i beni del
Tempio anche agli Ospedalieri, ai quali li avevano devoluti, ed anche la
maggior parte delle loro rendite.
Per un re centralizzatore, che voleva rendere il suo regno assolutamente
indipendente dal punto di vista economico e autonomo rispetto alle pretese
della Santa Sede e della Chiesa, è molto verosimile l'ipotesi che abbia voluto
abbattere un ordine la cui potenza militare, la cui influenza finanziaria e il
favoloso capitale fondiario destava in lui legittime preoccupazioni. Si può
persino pensare che, se Filippo fosse vissuto qualche anno in più, avrebbe
tentato di liquidare anche l'ordine degli ospedalieri, che suscitava in lui gli
stessi sentimenti.
Ma per spiegare il suo accanimento nei confronti di tali ordini, bisogna
tener conto anche del profondo senso religioso del re di Francia e del dolore
con cui si era arreso alle accuse, più o meno fondate, di sacrilegio mosse
contro i Templari.
Ciò anche se le confessioni, estorte con la tortura, si devono considerare per
lo meno confutabili, se non addirittura senza valore, tanto che molti monaci
in seguito le ritrattarono, mettendo in gioco la loro vita.
I recidivi erano giudicati dal braccio secolare e condannati al rogo, secondo
gli usi del tempo. Filippo aveva infatti buoni motivi per giudicare valide
quelle confessioni e pensare, come difensore della vera fede, di continuare a
colpire inesorabilmente non solo i membri, ma il cuore stesso
dell'organizzazione.
Tutta la storia dell'Ordine, dai suoi umili e edificanti esordi ai suoi
momenti di gloria, agli errori e alla tragica conclusione, è racchiusa in
quasi due secoli: dalla costituzione, nel 1181, dei Poveri Cavalieri del
Cristo, alla morte sul rogo di Jacques de Molay, il 18 marzo 1314.
L'Ordine era nato nel corso della prima Crociata in Terra Santa, promossa in
seguito all'appello lanciato da papa Urbano II, già monaco di Cluny, al
concilio di Clermont, con cui invitava tutta la cristianità a liberare dagli
infedeli i luoghi in cui era vissuto e morto Gesù Cristo.
Il Pontefice aveva lanciato un vero e proprio grido d'allarme. Egli temeva
l'invasione dell'Europa: Gli Arabi hanno attaccato e massacrato i cristiani
d'Oriente e sono giunti fino al Braccio di San Giorgio (l'attuale Bosforo).
Se non vi opporrete loro immediatamente, dilagheranno ancor di più per colpire
i servitori di Dio... Non sono io, ma il Signore che vi incita, voi eroi del
Cristo, a cacciare questi vili miscredenti... Cristo comanda!... Cessino le
lotte intestine e tutti insieme combattano contro gli infedeli; i briganti si
trasformino in soldati; i mercenari si conquistino il premio eterno... Quando
verrà la primavera, i guerrieri si mettano in cammino sotto la guida del
Signore!
Un grido, che diventerà la parola d'ordine della spedizione, sale dalla folla
galvanizzata dall'appello infiammato del Papa: Dio lo vuole! La spedizione si
svolgerà sotto il segno della Sua croce. Un oratore improvvisato sarà il più
ardente propagandista della Crociata: si tratta di Pietro l'Eremita, che
percorrerà a dorso d'asino il Berry, l'Orleanese, la Champagne, la Lorena,
sollevando tra le masse un entusiasmo che oltrepasserà le Marche renane. Il
popolo supera in frenesia la nobiltà che, più ragionevolmente, prepara senza
fretta la grande avventura. Una folla eccentrica e male armata, preceduta da
una avanguardia guidata da un semplice cavaliere, Gautier, si incammina verso
l'est. L'eterogeneità è il suo aspetto caratteristico: al suo interno infatti
si confondono cristiani ferventi, fiduciosi nella celeste Provvidenza, con
cattivi soggetti, fuggiti al patibolo e dalle prigioni del re o
dell'imperatore e che avevano raccolto l'appello del Pontefice più che altro
con la speranza di fare buoni bottini. I più ingenui sono preoccupati e ad
ogni città che incontrano sul cammino chiedono: E' questa Gerusalemme?
La marcia è costellata da disgustose scene di brigantaggio. Le città di Semlin
e di Nich saranno messe a sacco e ciò provocherà una dura repressione da parte
dei Bizantini: migliaia di disgraziati saranno uccisi.
Giunti infine di fronte a Costantinopoli, confinati poi dall'imperatore
bizantino Alessio Comneno nella fortezza di Kybitos, alla frontiera greca
dell'Asia Minore, i sopravvissuti avrebbero dovuto attendere l'arrivo della
Crociata dei nobili. Ma trasgredirono gli ordini dei loro capi. Il 21 ottobre
1096, in assenza di Pietro l'Eremita che si era recato a Costantinopoli,
marciano su Nicea: assomigliano più ad una folla esuberante ed esaltata che ad
un esercito disciplinato. Per la cavalleria araba non è che un gioco crudele
bersagliarli di frecce e massacrare i fuggiaschi: è una ecatombe spaventosa
cui riescono a sfuggire solo tremila uomini su venticinquemila. Muore anche
Gautier, che non era stato in grado di impedire quella follia.
Finalmente anche i nobili si erano messi in marcia. Superato il Braccio di San
Giorgio, si trovano davanti ad una strada ricoperta di cadaveri
biancheggianti, e subito indovinano la drammatica conclusione della Crociata
dei pezzenti. Verso la fine dell'aprile 1097 raggiungono Costantinopoli.
Alessio Comneno, unico diplomatico in mezzo a tutti quei guerrieri, ottiene
che le terre riconquistate gli siano affidate sotto forma di vassallaggio.
Questo impegno provocherà in seguito tutta una serie di lotte intestine tra
gli stessi cristiani.
Poi inizia la lunga, vittoriosa marcia verso Gerusalemme, anche se le perdite
sono notevoli soprattutto ad opera dei mobilissimi cavalieri saraceni e dei
loro arcieri.
Il compito dei Crociati sarà favorito però dalle discordie e dalle rivalità
che indeboliscono il mondo musulmano. Antiochia cade il 3 giugno 1098 e
Boemondo di Taranto se ne proclama principe: è l'inizio di una vera e propria
caccia al feudo. Dopo la sanguinosa presa di Gerusalemme, il 15 luglio 1099, e
la morte di Goffredo di Buglione (18 luglio 1100), che aveva accettato solo il
titolo onorifico di difensore del Santo Sepolcro, questo processo raggiunge il
suo culmine con la creazione del regno franco di Gerusalemme, affidato al
fratello di Goffredo, Baldovino di Boulogne.
I crociati, penetrati in città, non avevano risparmiato neppure le donne. Il
massacro aveva suscitato tanto orrore nella popolazione, disposta fino a quel
momento a sottomettersi agli invasori, che aveva dato inizio ad una difesa
disperata. Goffredo, invitato a prendere il titolo di re, aveva declinato
l'offerta, rifiutandosi di portare la corona d'oro negli stessi luoghi in cui
Cristo aveva indossato quella di spine.
In diciotto anni, Baldovino I riuscirà invece a consolidare e ad accrescere
quel fragile regno. E' l'epoca in cui il suo cappellano, Foucher de Chartres
celebra il nuovo paradiso terrestre: Fino a poco tempo fa cittadini
occidentali, eccoci trasformati in abitanti dell'Oriente... Abbiamo
dimenticato il paese natio... Alcuni hanno una casa e dei domestici, come se
li avessero ereditati, altri hanno preso in moglie una Siriana, un'Armena o
una Saracena dopo averla fatta battezzare... Il colono è diventato un
indigeno... L'abitudine a vivere insieme avvicina le razze... Dio ha reso
ricchi coloro che nel loro paese erano poveri... Perché un uomo che in Oriente
è riuscito a realizzare tutti i suoi desideri dovrebbe tornare in Occidente?
Tuttavia coloro che sono riusciti ad impadronirsi di un feudo sono la
minoranza; la maggior parte dei crociati, portata a termine la conquista, sono
ritornati in patria, in Francia o nelle Fiandre. Baldovino, valente guerriero
e abile politico, è continuamente impegnato a respingere le incursioni
musulmane all'interno delle frontiere; ciò non toglie che gli innumerevoli
pellegrini, venuti da tutte le parti del mondo siano troppo spesso rapinati, e
a volte addirittura massacrati, dai briganti che compiono razzie anche nei
confronti dei coloni.
A questo stato di insicurezza cerca di porre rimedio Hugues de Payen, un
cavaliere crociato proveniente dalla Champagne, il quale, quando nel 1118 sale
al trono, con il nome di Baldovino II, il conte di Edessa Baldovino di Bourg,
cugino di Baldovino di Boulogne raccoglie attorno a sé altri otto valorosi
cavalieri.
Payen è un cristiano fervente e, con i suoi compagni, si assume il compito di
proteggere i pellegrini e di sorvegliare il Santo Sepolcro: dopo aver adottato
la regola agostiniana, essi assumono il nome di Poveri Cavalieri del Cristo.
Ben presto altri confratelli raggiungono i monaci-soldati; tra questi,
intorno al 1120, il conte Hugues di Champagne che, fattosi crociato per un
vero e proprio colpo di testa, prima di lasciare la Francia aveva diseredato
il figlio a favore di un nipote Thibaud de Brie e aveva donato a San Bernardo
la terra di Clairvaux, perché vi costruisse un monastero.
I due erano cugini e amici intimi da molto tempo. Fu senza dubbio Hugues di
Champagne che propose a Payen di trasformare l'associazione in un vero e
proprio ordine religioso, con una sua regola particolare, e che, una volta
arrivati ad un accordo, si rivolse a Bernardo. L'abate di Clairvaux si impegnò
a redigere la regola del futuro ordine, tenendo conto naturalmente del passato
e delle abitudini dei Poveri Cavalieri, e fu lui a intercedere preso papa
Onorio affinché riunisse un concilio che ratificasse la creazione del nuovo
ordine. Ciò avverrà nel concilio di Troyes, presieduto dal cardinale Mathieu
d'Albino, legato del papa. Payen, maestro della cavalleria, è presente con
alcuni confratelli di cui sarà il portavoce. Il concilio approva una regola di
settantadue articoli.
Ciò che ci parve buono e utile (nel testo preparato da Bernardo) lo
approvammo; abbiamo soppresso ciò che ci è parso assurdo; ha scritto il
redattore del verbale delle deliberazioni, Jehan Michel.
Secondo le regole dell'ordine, i fratelli sono tenuti ad assistere ogni giorno
alla messa o, se sono nell'impossibilità di farlo, ad una interminabile serie
di preghiere. Così: sazi del corpo di Dio e dei comandamenti del Signore, sono
tutti pronti alla battaglia e al martirio.
Il regolamento interno è severo: i pasti devono essere consumati in silenzio,
ascoltando la lettura di un testo sacro; la carne viene servita tre volte alla
settimana (i cavalieri ricevono una porzione doppia rispetto agli scudieri e
ai sergenti, che sono plebei); la quaresima dura da Ognissanti a Pasqua.
Sei articoli della regola originale, forse aggiunti poco dopo, riguardano
l'abbigliamento dei monaci soldati, la biancheria del letto e il loro aspetto.
Devono portare un abito bianco o nero e tutti il mantello bianco, simbolo di
castità, assolutamente privo di pelliccia e di altri ornamenti. Ognuno dispone
di un letto con pagliericcio, di un lenzuolo e di una coperta e deve dormire
in camicia e mutande. Nel dormitorio una luce rimane accesa tutta la notte. I
cavalieri devono portare la barba, ma i capelli devono essere completamente
rasati.
Il silenzio è la base della vita conventuale. Tuttavia, poiché questi monaci
sono soprattutto guerrieri, la regola prescrive che non si devono sottoporre
ad astinenze esagerate; inoltre è previsto che ogni cavaliere abbia tre
cavalli e uno scudiero che se ne prenda cura; costui non può essere picchiato
se presta la sua opera per carità, cioè senza remunerazione; i metalli
preziosi sono esclusi dalle armature e dai finimenti. Se l'Ordine riceverà in
dono armature d'oro o d'argento sarà necessario dipingerle.
Al membri dell'Ordine è vietata ogni forma di caccia eccetto quella... del
leone. Essi devono onorare i fratelli vecchi o ammalati.
Alla testa dell'Ordine c'è un maestro eletto, il cui potere è notevole, anche
se è tenuto a riunire il capitolo, che ha funzioni consultive, e il convento,
che ha poteri decisionali. Tutti gli devono obbedienza e sottomissione, come a
Dio stesso, e ciò è simbolizzato dalla proibizione per ognuno di possedere
scrigni chiusi a chiave, di leggere le proprie lettere, di ricevere doni senza
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